A cosa servono gli attacchi di panico? parte 2
- Rosa Paola Carfora
- 3 giu 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Nelle settimane successive si presentarono altri episodi di panico; la loro frequenza aumentava rapidamente e passò da un episodio ogni 10 giorni ad aumentare progressivamente fino ad avere 5 attacchi al giorno.
La violenza delle sensazioni che la investivano, la lasciava annichilita, depauperata. Pur usando ogni sua risorsa razionale per contrastare quei fenomeni, falliva sempre.
Capiva razionalmente, che quei sintomi, avevano una natura psicologica conseguente al trauma subito, ma questa consapevolezza era insufficiente a contrastarli.
Cominciò anche, a temere di star diventando pazza, e ogni attacco che la assaliva, la faceva sprofondare in un senso di vergogna per essere diventata così fragile.
Vedeva tutti intorno a lei sicuri e forti, si paragonava agli altri sentendosi menomata e in breve tempo, questo turbinio di pensieri, finì per generare un terribile meccanismo di paura della paura.

Indice
LA PAURA DELLA PAURA
Temendo continuamente l’arrivo di un nuovo attacco, cominciò a limitare il suo raggio di azione, evitando situazioni e luoghi che considerava rischiosi, ad esempio quelli troppo affollati o troppo isolati, dove i mezzi di soccorso avrebbero avuto difficoltà a raggiungerla.
La sera andava a letto con la paura di morire nel sonno e la mattina si svegliava con la paura e l’angoscia di dover affrontare un nuovo giorno in preda agli attacchi.
Pensava inoltre, che se anche non fossero stati questi ad ucciderla, tutte le tossine generate da quell’enorme stress, avrebbero finito per avvelenarla a morte.
Nessuno intorno capiva cosa le stesse succedendo e, di conseguenza, nessuno sapeva o poteva aiutarla. L’unica cosa che Bea desiderava, era tornare come prima e ripeteva a sé stessa che, se era esistito un tempo in cui era stata “normale”, di sicuro esistevano, nascoste da qualche parte, dentro di sé, le risorse per tornare ad esserlo.
Ha investito molto tempo indagando a fondo dentro sé stessa e, per quanto possibile, aveva cercato di mettersi nei panni delle persone che l’avevano ferita e a cui dava la colpa di ogni sua sofferenza.
LA GUARIGIONE
È doveroso sottolineare l’impegno di Bea, nel cercare ovunque le risposte di cui aveva bisogno e molto lentamente ha rimesso insieme i pezzi, uno dopo l’altro, fino a vedere, sempre più chiaramente, cosa le fosse accaduto e fino a comprendere il dono straordinario insito in tutta quella sofferenza.
Tutto questo processo è durato circa 10 anni, anzi in realtà, è corretto dire, che non si è mai interrotto e che procede ancora oggi, ma non temete! Gli attacchi di panico sono spariti in molto molto meno tempo!
Inizialmente il suo obiettivo era quello di ritornare allo stato precedente agli attacchi, cioè a quando riteneva (illusoriamente), di essere una persona forte, attiva, autonoma e sicura di sé.
Ma dopo un’attenta e lunga analisi si rese conto che, già da bambina, viveva occasionalmente profondi stati di tensione e angoscia, che col tempo, aveva imparato a controllare esercitando una soglia molto alta di autocontrollo.
Tutto ciò, lo aveva fatto inconsapevolmente e si era spinta oltre i livelli di guardia, reprimendo desideri e bisogni emotivi. Infatti aveva finito per avere un cattivo rapporto con tutte le emozioni spontanee e non era mai riuscita a lasciarsi andare o a godere di nessuna situazione felice (tranne brevi e rare eccezioni).
IL MESSAGGIO DEL PANICO Con la sua improvvisa partenza, la madre di Bea, aveva esaudito il suo segreto desiderio di libertà. Aveva 20 anni, era libera!! Libera dal ruolo di babysitter, di assistente domestica, libera di uscire o partire ogni volta che desiderava, libera di arrabbiarsi senza essere criticata.
MA NON FU CAPACE DI BENEFICIARE DI QUELLA LIBERTÀ e questo perché, prevaleva in lei, solo l’abbandono e il tradimento e arrivò a pensare, che quella libertà che tanto aveva desiderato, non era così importante come le era sembrato.
Si allontanò così dai suoi desideri e dalla sua spontaneità, per aderire a un modello artificiale, una mole enorme di energia vitale inutilizzata e proibita. E alla fine, quella energia, si era accumulata dentro lei come in un vulcano e questo accumulo aveva dato vita a una carica esplosiva.
IN QUESTA DINAMICA SI CELAVA IL MESSAGGIO DEL PANICO
Il panico rappresentò la deflagrazione che, con estrema violenza, ruppe ogni argine dell’autocontrollo che si era strutturato in Bea come difesa.
Il panico la scuoteva, in ogni senso, da quella che era stata la sua vita fino a quel momento. Cercava di rianimarla con una specie di scarica paragonabile a quella di un defibrillatore.
Il panico era il suo stesso corpo che cercava di mettersi in contatto con la sua parte cosciente, era un fantastico stratagemma messo in atto dal suo sé profondo per farsi ascoltare.
Per anni si era imposta di restare in uno spazio troppo stretto di regole e doveri in cui non si concedeva di godere del mondo. Ma il mondo voleva tornare ad allargarsi, nonostante i paletti da lei issati e il ruolo che si era cucita addosso per sopravvivere tutti quegli anni.
“Se hai delle forze e non le usi, prima o poi ti si rivolteranno contro” (proverbio cinese)
L’innesco del processo che da il via agli attacchi di panico, è spesso un evento, che toglie un puntello fondamentale al sistema di sicurezze e paletti costruiti dall’individuo come protezione da una realtà ostile alla sua integrità.
Ma se quel puntello cede, tutto il castello di finte certezze e abitudini ,edificato negli anni, crolla di schianto, togliendo le stampelle costituite dalla personalità superficiale.
È come svegliarsi in mare aperto, senza salvagente.
Se avete a che fare con questa patologia sappiate che c’è per voi una grande lezione da apprendere, forse la più importante della vostra vita: diventare ciò che siete davvero, ciò che appartiene alla vostra natura più profonda.
SIETE PRONTI?
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